Una delle domande più frequenti a cui mi sono ritrovata a rispondere è:
“Ma cosa si fa in psicoterapia?”
Ed è una domanda più che legittima a cui al tempo stesso non è così semplice rispondere, soprattutto in modo esaustivo.
Ovviamente mi riferirò a ciò che faccio io, in linea generale, in base alla mia formazione ed ai miei anni di esperienza e partendo anche dal presupposto che ogni percorso psicologico è a se stante.
Un punto di partenza è che una psicoterapia, in quanto tale, presume che ci sia un cambiamento con obiettivi che saranno concordati e che nel tempo possono anche variare.
In molti hanno impressa l’immagine del terapeuta che sta in silenzio e del paziente sul lettino. Ma quello dipende dall’orientamento professionale, e nel mio caso, come in quello di moltissimi colleghi, non funziona così. La persona che viene nel mio studio è infatti seduta di fronte a me e lo strumento principale è proprio il dialogo.
Oltre ovviamente a capire il motivo della richiesta di aiuto, il primo passo fondamentale, è raccogliere la storia di vita. Quello è uno degli ingredienti fondamentali. Perché attraverso la conoscenza della storia familiare, amicale, relazionale, lavorativa e non,
si inizia a dare una forma più coerente anche al possibile esordio del malessere o di un sintomo specifico.
Ognuno di noi ha infatti, fin da piccolo, imparato determinate cose e quelle stesse cose spesso si ripercuotono nel presente.
Ad esempio, una persona che a partire dall’infanzia e’ stata esposta a continue liti tra i genitori, da adulta potrebbe ritenere che le discussioni vadano evitate a tutti i costi e potrebbe reprimere i propri bisogni per evitare di litigare, proprio perché pensa che le discussioni siano qualcosa di pericoloso e magari col tempo potrebbe sviluppare sintomi ansiosi e attacchi di panico che non riesce a comprendere da dove possano derivare.
E questo appunto è solo un piccolissimo esempio, potrei farne tantissimi altri...
In che modo quindi si procede in psicoterapia? Come primo passo, in linea generale, mi focalizzo su quelli che sono i pensieri e le credenze disfunzionali che determinano specifiche emozioni o che possono essere alla base di un sintomo e che poi anche il paziente, attraverso appositi esercizi, imparerà ad identificare.
Poi ci sarà tutto un lavoro sul passato, sul presente ma anche su possibili scenari futuri attraverso diverse tecniche quali ad esempio L’ EMDR, esperienze immaginative/corporee, l’utilizzo delle parti del se.
Metto dunque in campo tutta una serie di strumenti per poter aiutare il paziente a comprendere il suo funzionamento, la gestione di determinate emozioni, l’elaborazione di eventi che in qualche modo possono essere stati disturbanti e che lo sono tutt’oggi.
Un’ altra cosa importante che mi sento di dire è che le tecniche o i diversi protocolli, per quanto assolutamente indispensabili, da soli non bastano, un altro ingrediente fondamentale è infatti la relazione terapeutica che si crea con la persona che si ha di fronte, che è in primis una relazione umana.
Mi è capitato che mi dicessero: “Vabbè grazie ma lei lo fa perché la pago, non ci tiene davvero a me”, ma, pur essendo vero che certamente si tratta di un lavoro, esiste comunque anche una dimensione relazionale ed emotiva che è imprescindibile e che spesso si rivela importantissima proprio nel processo di cambiamento.
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